Il futuro del Venture Capital tra tassi di interesse e strette monetarie

Il futuro del Venture Capital tra tassi di interesse e strette monetarie

Gli ultimi 10 anni sono stati per le economie mondiali senza precedenti: tassi di interessa a zero o in certi casi addirittura negativi, stimoli monetari tramite Quantitative Easing prima e i PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) dopo e una politica delle banche centrali tendenzialmente molto accomodante: una vera e propria “Colomba” come la definiscono i giornalisti finanziari.

Tutti questi stimoli hanno portato una massa senza precedenti di capitali nel mercato rendendo i soldi una vera e propria commodity, un bene fungibile e facile da ottenere con le banche che hanno fatto a gara per regalare mutui e prestiti a imprese e privati a tassi sempre più bassi. Questo ha portato anche il sistema finanziario in un vero e proprio hype (non la chiamiamo bolla, o meglio non ancora) con molti fondi istituzionali che hanno rimpolpato il sistema economico e delle imprese di enormi capitali facendo salire notevolmente le aspettative sulle valutazioni delle aziende.

La cara inflazione che oggi sentiamo quotidianamente su ogni giornale o piattaforma non si sta manifestando esclusivamente negli indici dei prezzi al consumo o nel rincaro delle bollette, ma anche nelle valutazioni delle aziende e, venendo al settore Venture Capital, delle startup. Come? Vi provo a fare un esempio.

Fatto dieci il numero dei fondi di Venture Capital nel mondo, questi 10 fondi hanno ottenuto (chi più chi meno) diversi capitali da investitori istituzionali che a loro volta hanno raccolto capitali da privati risparmiatori (come nel caso dei fondi pensione) o dai governi (come nel caso di fondi para statali). In tempi di tassi a zero questi dieci fondi si sono trovati un grosso ammontare da gestire e questo gli ha permesso di andare da una startup e “accontentarsi” di valutazioni molto alte. Perché? Semplice, da una parte il fondo di VC doveva investire quei capitali, dall’altra la startup se non prende soldi dal fondo 1 va dal fondo 2 che la paga il prezzo che chiede. Questo, a catena, moltiplicato per migliaia di startup in tutto il mondo e centinaia di miliardi di dollari investiti con valutazioni esagerate ha creato i presupposti per un’inflazione elevata delle valutazioni di moltissime startup in tutto il mondo.

Il vento, purtroppo o per fortuna sta a voi stabilirlo, è cambiato. Le banche centrali (FED, BCE, BOE, BOJ) hanno iniziato una politica monetaria molto più “Falco” per contrastare l’aumento dei prezzi che ne è derivato da dieci anni di tassi negativi e ha diminuito e quasi azzerato gli stimoli monetari iniziando ad aumentare i tassi di interesse sul capitale molto più rapidamente del previsto ed entro il 2024 la FED promette tassi a quasi il 3% circa (se vi sembra poco considerate che erano allo zero due anni fa). Ma il decorso dell’aumento dei tassi potrebbe essere naturalmente più elevato anche in virtù di scenari internazionali che stanno capitando.

Cosa significa questo? Immaginate lo scenario di prima, ma al contrario. L’inflazione e i costi del denaro più alti portano ai risparmiatori meno potere d’acquisto e meno fondi da poter investire, così anche la maggior parte di fondi pensione e investitori istituzionali dovranno necessariamente ridurre il loro ammontare di investimento da dedicare all’asset class del venture capital. Questo porterà i “dieci” fondi VC di cui prima ad avere meno capacità di investimento e soprattutto a valutazioni più contenute, dato che la startup che cerca soldi deve in questo caso essere più attenta ai propri valori d’impresa e sottostare maggiormente alle regole del mercato.

Si prospetta quindi uno scenario non semplice per i prossimi anni soprattutto per chi ha investito in molte startup non promettenti per il futuro dove, tra un paio di mesi/anni, si troverà molti fondi VC con i remi “un po’ più” tirati in barca e con valutazioni sicuramente più attente, rendendo difficili le exit che abbiamo visto negli ultimi anni.

Chiudendo l’articolo, vi ricordo come una crisi dell’economia reale sia sempre anticipata da una crisi finanziaria e dei mercati. Da novembre 21 ad aprile 22 quasi tutte le maggiori tech company del mondo hanno perso dal 50 all’80% del loro valore in Borsa, non proprio bruscolini. Per precisione, il Dow Jones ha perso solo il 2,95% e lo S&P 500 solo il 2,83%.

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Il team BizPlace

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