Il curioso, infelice e fallimentare caso della Silicon Valley Bank

Il curioso, infelice e fallimentare caso della Silicon Valley Bank

La Silicon Valley Bank (SVB), sedicesima maggiore banca degli Stati Uniti specializzata nel fornire servizi finanziari a startup ad alto fattore tecnologico, è fallita rendendo necessario l’intervento da parte del governo americano.

Sono diversi i motivi che hanno portato a questo crollo e per andare a capirli è necessario ripartire dall’inizio. 

La Silicon Valley Bank (SVB), fondata nel 1983 con sede a Santa Clara in California, è stata una delle più grandi banche statunitensi nonché un importante player dell’ecosistema innovativo. Si è subito posizionata come partner di investitori Venture Capital e banca di fiducia delle startup fino a diventare nel tempo il simbolo dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico della Silicon Valley. Nel 2021, SVB ha cavalcato l’onda del successo degli investimenti in startup, con i depositi a breve che sono passati da 102 a 189 miliardi di dollari arrivando a gestire circa la metà di tutti fondi impiegati per finanziare le startup per un valore di 210 miliardi di asset. 

Dove sono iniziati i problemi? Uno dei primi aspetti che salta all’occhio è decisamente la poca differenziazione dei clienti, appartenenti a un unico settore di riferimento e di una circoscritta area geografica. 

Ma la vera criticità appare nella scelta d’investimento di tutta la liquidità raccolta dalle startup. La banca ha infatti deciso di investire 120 miliardi di dollari in un portafoglio di titoli di Stato a lunga scadenza. Dunque, rispetto al business tradizionale degli operatori bancari, che è quello dell’operazione dei prestiti, SVB ha scelto di investire la maggior parte dei propri asset in attività finanziarie e security. Una ulteriore evidente problematica è anche il disallineamento tra durata media della raccolta (breve termine) e durata media degli investimenti (lungo termine). 

Le complicazioni iniziano ad emergere quando la Federal Reserve – la banca centrale americana – ha dato il via ai rialzi dei tassi di interesse. Questo ha spinto i fondi investitori delle startup a ridurre i finanziamenti e così le imprese, per sostenere le normali attività di business, hanno cominciato a prelevare in grande quantità il denaro depositato. 

Per fronteggiare un flusso di prelievi sempre più frequente, SVB si è trovata costretta a vendere i titoli di Stato prima della loro scadenza naturale, e quindi a un prezzo più basso di quanto li avesse pagati provocando una perdita da quasi 2 miliardi di dollari. La crisi di fiducia e “l’effetto panico” scatenato da questa operazione hanno generato una ulteriore corsa al ritiro dei soldi causando a fine giornata di giovedì 9 marzo un deflusso di 42 miliardi di dollari.

In risposta all’emergenza, il governo americano è prontamente intervenuto a garanzia dei depositi. Il 10 marzo SVB è stata affidata al controllo del fondo interbancario americano e il 12 marzo il governo ha chiuso un’altra banca, Signature Bank, per cercare di evitare ulteriori problemi al sistema bancario. Inoltre, ha annunciato che garantirà tutti i correntisti di SVB che istituirà nuovi sistemi per aiutare gli istituti bancari in difficoltà.

Il fallimento della banca americana Silicon Valley Bank (SVB) è stato definito da molti analisti come il più importante dai tempi della crisi finanziaria del 2008. Non sappiamo ancora con chiarezza che ripercussioni avrà nel lungo termine questo evento sull’intera sistema bancario globale, ma di certo la turbolenza bancaria è ancora in pieno svolgimento e sarà necessario seguire attentamente i prossimi sviluppi per rimanere aggiornati.

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Il team BizPlace

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